TERAMO – C’è un concordato fallimentare avviato per la Foodinvest Bakery che fu di Aristide Malavolta; c’è un’azienda, la D’Orsogna Dolciaria, che strategicamente "forza" la mano convocando la stampa e illustrando il proprio progetto d’acquisto, di fatto mettendo pressione sui creditori, e in secondo luogo su curatori e giudice delegato; c’è un’altra azienda, la Richetti Spa, che fino ad oggi ha mantenuto personale e produzione dopo aver acquistato un ramo d’azienda (la ex Magus) nel gennaio 2008. Due attori, entrambi con la voglia di essere protagonisti, in una vicenda che interessa il destino di quasi un centinaio di operai, tra fissi e interinali e che, dietro le quinte mette in gioco un brevetto industriale di grande valore, una "ricetta" segreta che ha fatto la fortuna di un dolce, la famosa "fetta al latte" conosciuta dall’Africa alla Russia, da Israele agli States.
Botte e risposta. Due giorni fa, la D’Orsogna annuncia il suo progetto, che mira a creare un polo dolciario laddove di dolciario c’è stato un impero in passato. E’ la Sant’Atto della Campo del Re o poi Tonini o Magus o Foodinvest o Malavolta Corporate. Un luogo dove dalla Kinder, alla Ferrero, alla Nestlè, alla Unilever, tutti hanno raccolto a piene mani prodotti di qualità distribuiti in tutto il mondo. E quello dei gelati al biscotto o delle fette al latte è stato un mercato particolarmente redditizio. Tanto da reggere ancora il mercato diversamente dal destino del gruppo, dichiarato fallito nel 2008 con milioni di buco. La D’Orsogna, con una spavalda strategia legale, mette le mani avanti e dice: il nostro progetto piace anche al giudice delegato, prevede la salvaguardia del personale, anzi punta a grossi investimenti, impianteremo un macchinario comprato dalla ex Parmalat due anni fa e ancora smontato, produrremo la Coppa Malù, un dessert monoporzione (ma nessun cenno alla fetta al latte). E butta sul tavolo 500mila euro di più della valutazione che i curatori Giancarlo D’Andrea e Gaetano Biocca hanno fatto dei beni. La D’Orsogna sostiene tra l’altro di essere l’unico competitor nel concordato perchè di recente è scaduto l’affitto d’azienda e questa si trova senza un titolare. A smentire questa situazione arriva così il secondo attore di questa querelle, la Richetti Spa, gruppo che nel gennaio 2008 ha rilevato il ramo d’azienda.
Cosa dice la Richetti. «Alla scadenza del contratto di affitto – dicono – è stata esercitata correttamente e tempestivamente il conclamato diritto di opzione concesso dal Tribunale di Teramo». Dunque, la Richetti continua nella sua attività e nel suo diritto di portare avanti l’investimento di quasi 5 anni fa: dopo il parere favorevole degli organi della procedura fallimentare, ha chiesto al giudice Delegato di accertare tale acquisto restando in attesa di ricevere formale comunicazione del prezzo, «per il quale ha già nella propria disponibilità la relativa provvista finanziaria». Nei 5 anni di gestione della Richetti il fatturato è cresciuto dai circa 12 milioni di euro del 2008 ai 20 del 2012. Gli addetti sono rimasti gli 80 iniziali a tempo indeterminato e circa una trentina di unità interinali al mese, senza ore di cassa integrazione e condivisione del piano industriale con i sindacati. Il mercato europeo di riferimento è stato mantenuto attivo e sono stati effettuati investimenti strutturali per circa 700mila euro. Per Richetti è arrivato successivamente (nel 2012) un altro subentro in un’azienda dello stesso gruppo, dove si producono salati da forno, dove attualmente lavorano 25 persone con un fatturato di 5 milioni di euro. Resa nota questa situazione da parte della Richetti, la D’Orsogna torna sull’argomento, smentendo il competitor, in una sorta di concorrenza pubblicitaria, confermando che dal 1° marzo il contratto di affitto è scaduto.
Il terzo ‘incomodo’, il tribunale. A parte le anomale modalità di pubblicità alla proposta, a parte il botta e risposta tra le azienda, anche questo anomalo (ma non siamo in una procedura fallimentare?), cosa ne pensa il tribunale, ovvero il giudice delegato? Potremmo saperlo tra circa un mese, anche se pare strano che si debba cambiare registro, se un’azienda produce, vende, mantiene e anzi aumenta negli ultimi cinque anni fatturati e dipendenti (sempre che la Richetti venga ritenuta credibile per quello che ha fatto sapere).
Il brevetto e i ‘rumors’. E’ fuori di dubbio che attorno a quella che fino a un lustro fa era una, se non la più grande azienda privata della zona, ci sia particolare interesse e attenzione dell’opinione pubblica. E i ‘rumors’ sono tanti. Come quelli che definiscono molto appetibile, e forse uno dei perni della querelle industriale, il brevetto della famosa "fetta al latte" che resta la garanzia perchè questa fabbrica resti in piedi sul mercato. Una ‘ricetta’, chiamiamola così, volgarmente, che vale molto denaro, forse più di quello in ballo finora. Per cui si oserebbe e si rischierebbe molto. Ma se quel brevetto finisse altrove, ad un altro competitor, quale destino vivrebbe quest’ultimo pezzetto di vitalità produttiva?